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          ·       Strumentazioni e Tecnologie Biomediche

     ·       Terapia Medico-Nucleare

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·       STORIA DELLA TERAPIA MEDICO-NUCLEARE (PRIMA PARTE)

·       Sergio Modoni  Nicoletta Urbano

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   ·       INTRODUZIONE

      ·       Roentgen e la scoperta dei Raggi X

          ·       Scoperta della radioattività

              ·       Effetti biologici del Radio: i primi studi

                    ·       Le nuove scoperte della fisica

                          ·       diffusione incontrollata dei prodotti radioattivi ed i suoi danni

                                 ·       nascita della Medicina Nucleare

                                         ·       Gli anni TrentA il Ciclotrone ed i nuovi radioisotopi

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INTRODUZIONE

 

La storia della terapia medico nucleare fa parte della storia delle radiazioni, e perciò si interseca con la storia delle più importanti scoperte che la fisica ha realizzato negli ultimi cento anni ed anche con la storia di importanti vicende che hanno condizionato in senso positivo, ma anche in senso negativo, la storia dell’Umanità. Dire che le radiazioni cominciano con la storia della Terra non è sbagliato. Possiamo prendere a prestito le parole che usa Dayton Rich iniziando il suo lavoro sulla storia della PET, ma queste parole sono applicabili a tutta la Storia della Medicina Nucleare.

 

“La storia della PET iniziò subito dopo il momento della creazione, il Big Bang. I Cosmologi ipotizzano che tutta la materia nell’universo fosse contratta in uno spazio infinitamente piccolo che poi esplose producendo un’enorme sfera di fuoco con una temperatura di 100 miliardi di Kelvin. Durante i primissimi stadi (t=10-2 sec.) di questa sfera di fuoco cosmica, l’universo era dominato da una grande densità di energia in forma di radiazioni. La densità era così grande che vi era un’energia equivalente ad una coppia elettrone-positrone in un volume di spazio corrispondente alla dimensione della coppia stessa.

Le particelle beta appena create immediatamente si annichilavano producendo radiazioni gamma secondo la formula di Einstein di equivalenza energia-materia: E=mc2. Lo stato energetico si alternava continuamente tra radiazioni elettromagnetiche ed elettroni, positroni e, di nuovo, radiazioni elettromagnetiche. Solo quando l’universo subì l’espansione (t=4 min.) e quindi si raffreddò fu possibile alle particelle più pesanti, protoni e neutroni, di esistere. Da questo mare ribollente di reazioni nucleari emersero i positroni, gli elettroni e le radiazioni di annichilazione usate oggi come segnale per la PET.”

(Dayton A. RICH, A Brief History of Positron Emission Tomography, J.Nucl.Med.Technol. 25: 4, 1997).

 

 

Roentgen e la scoperta dei Raggi X

 

La vera storia delle radiazioni in Medicina inizia la sera di Venerdì 5 Novembre 1895. Wilhelm Konrad Roentgen (Figura 1), Professore di fisica all’Università di Wurzburg, sta lavorando con un tubo di Hittorf, un’ampolla di vetro (Figura 2) nella quale è creato il vuoto e un rocchetto di Ruhmkorff invia corrente elettrica ai due elettrodi contenuti in essa.

 

Figura 1     Figura 2     Figura 3

                  Figura 1                                      Figura 2                                 Figura 3

 

Nonostante questa ampolla sia coperta da un cartone nero, nella semioscurità egli vede a distanza un chiarore proveniente da un cartoncino rivestito di bario-platino-cianuro. Comincia a studiare questo nuovo fenomeno, si rende conto che questo nuovo tipo di raggi può impressionare le lastre fotografiche, fa radiografie di vari oggetti (libri, carton, gomma, legno, alluminio) per valutare quella che noi chiameremmo la loro radio-opacità, fa anche la prima radiografia della sua mano (che non mostrerà mai in pubblico).

Da questo momento, Roentgen si isola dal mondo esterno per studiare questo nuovo fenomeno, fino al 28 Dicembre, quando pubblica un libricino intitolato “Un nuovo genere di raggi” [Eine neue art fon strahlen] (Figura 3), e lo invia dapprima al Segretario della Società Fisico-Medica di Wurzburg e poi ad alcuni colleghi, accompagnandolo con alcune radiografie e con gli auguri per il nuovo anno. A questi raggi dà il nome di Raggi X, chiamandoli con il simbolo di quella che in algebra si descrive come quantità ignota.

Tra i colleghi che ricevono questo dono vi è il Prof. Franz Exner, Direttore della II Istituzione di Fisica-Chimica all’Università di Vienna, legato da antica amicizia con Roentgen.

Il 4 Gennaio 1986 Exner, in una riunione scientifica pomeridiana, mostra queste radiografie. A questa riunione è presente il Prof. Ernst Lecher, a quel tempo Professore di Fisica all’Università Tedesca di Praga, il quale informa suo padre, editore del quotidiano viennese “Die Presse”, che il giorno dopo pubblica la notizia intitolandola “Una sensazionale scoperta” [The Radiology History & Heritage Charitable Trust An Occasional Newsletter, Number 10, Winter 1998: http://www.rhhct.org.uk/news/10.html]

La notizia non tarda a varcare l’oceano e, il 7 Gennaio, il New York Sun scrive: La luce che prima non esisteva, una scoperta fotografica che sembra quasi misteriosa (o prodigiosa, come potrebbe essere tradotto il termine “uncanny”) (Figura 4).

 

Figura 4     Figura 5

                        Figura 4                                           Figura 5

 

Nella trasmissione del cablogramma il nome di Roentgen viene storpiato in Routgen. Il 23 Gennaio Roentgen riceve l’invito a tenere una lettura alla Società Fisico-Medica di Wurzburg. Al termine della relazione Roentgen mostra la radiografia della mano del Prof. Von Koelliker, Presidente Onorario della Società (Figura 5). Questa radiografia sarà riprodotta nella copertina della seconda edizione del Libro Eine neue art fon strahlen, che vede la luce il 9 Marzo 1896.

Neanche 24 ore dopo, il Dr. Albert von Mosetig-Moorhof, chirurgo di Vienna esegue la radiografia del piede di una donna colpita da un proiettile che aveva causato la frattura di due ossa del metatarso, e la opera seguendo le indicazioni dell’esame radiografico.

 

 

Scoperta della radioattività

 

Torniamo indietro di qualche giorno. E’ il 20 Gennaio 1896 ed a Parigi, nella consueta Riunione dell’Accademia delle Scienze, Jules Henri Poincarè (Figura 6), Professore di Matematica e Fisica alla Sorbona, sta parlando della scoperta di Roentgen. Alla riunione è presente Antoine Henri Becquerel (Figura 7), Membro dell’Accademia e Professore di Fisica Applicata al Dipartimento di Storia Naturale del Museo di Parigi, sulla cattedra che era stata di sua padre e, prima ancora, di suo nonno.

 

Figura 6      Figura 7      Figura 8

              Figura 6                               Figura 7                                    Figura 8

 

Ad un certo punto della discussione, Becquerel chiede: “Da dove originano questi importanti raggi?”. E Poincarè risponde: “Sicuramente, dal punto sulla parete di vetro del tubo reso fluorescente dall’impatto dei raggi catodici”. [Brucer M, J.Nucl.Med.Technol. 1996, 24: 280].

Probabilmente Becquerel commette a questo punto un errore, come riporta Georg de Hevesy, un altro grande padre della Medicina Nucleare, perchè: “La sua mente fu attraversata dall’idea che tutte le sostanze che mostravano il fenomeno della fosforescenza potessero emettere raggi Roentgen” [de Hevesy GC,  J.Nucl.Med. Technol. 1996, 24: 273].

Becquerel era un grande esperto di fosforescenza, sulla scia degli studi di suo padre, il quale gli aveva lasciato una certa quantità di sali di solfato di uranio che, esposti alla luce del sole, emettevano radiazioni fosforescenti per frazioni di secondo.

Come lui stesso racconta [Accademia Francese delle Scienze, 2 Marzo 1896 (Henri Becquerel. On the invisible rays emitted by phosphorescent bodies. Comptes Rendus 122, 501, 1896)]

, si accinge a fare un esperimento (Figura 8):

 

…ho preparato alcuni esperimenti tra il 26 ed il 27 di Febbraio [1896 n.d.r.] e, poiché il sole c’era solo ad intermittenza in quei giorni, io ho riposto gli apparati che avevo preparato al buio di un cassetto del mio studio, insieme con i sali di uranio. Poiché il sole non si è fatto vedere nei giorni successivi, io ho sviluppato le lastre fotografiche il 1 Marzo, aspettandomi di trovare immagini molto deboli.

Invece esse sono apparse con grande intensità ed io immediatamente ho pensato che l’azione fosse continuata anche nell’oscurità ed allora ho organizzato il seguente esperimento…”.

 

L’esperimento consiste nel porre i sali di uranio, nell’oscurità più completa, a diverse distanze da un lastra fotografica, interponendo anche materiali diversi, come il vetro e l’alluminio, e valutare dopo lo sviluppo l’attenuazione dei raggi.

 

E’ importante osservare che sembra che questo fenomeno non si debba attribuire alla radiazione luminosa emessa con la fosforescenza poiché, dopo un centesimo di secondo, questa radiazione [quella fosforescente, n.d.r.] diventa così debole che non si percepisce più.

Una ipotesi che deriva spontaneamente è che questi raggi, i cui effetti hanno una grande somiglianza con quelli prodotti dai raggi studiati da Lenard e Roentgen, sono raggi invisibili emessi per fosforescenza e che persistono infinitamente più a lungo della durata dei raggi luminosi emessi da questi oggetti[Accademia Francese delle Scienze, 2 Marzo 1896 (Henri Becquerel. On the invisible rays emitted by phosphorescent bodies. Comptes Rendus 122, 501, 1896)].

 

E’ la scoperta di una nuova radiazione, anche se non tutto è chiaro nella mente di Becquerel e qualche confusione tra fosforescenza  questo nuovo tipo di radiazioni è ancora presente.

Questa ipotesi viene ulteriormente perfezionata e, qualche anno dopo, Becquerel afferma [Henry Becquerell, Royal Institution, London, 7.3.1902, evening discorse]:

 

L’origine di questa energia è un enigma. Con un esempio puramente materiale, il fenomeno somiglia all’emissione di profumo da un corpo odoroso; esso, si può paragonare all’emanazione di particelle di gas che sono di un ordine di grandezza pari a quello degli ioni elettrolitici, ed identificare le radiazioni con i raggi catodici prodotti dalla dislocazione di questi ioni, che danno allo stesso tempo l’emissione di raggi X. La dissipazione di energia perciò può essere associata con la disintegrazione di materia attiva”.

 

Conosciamo ora un’altra figura importantissima nella storia delle radiazioni, Maria Sklodowska (Figura 9), una scienziata di origine polacca che si trasferisce a Parigi dove conosce un fisico, Pierre Curie (Figura 10) e lo sposa, diventando per tutti Madame Curie, uno degli ingegni più fervidi del secolo appena trascorso, l’emblema stesso della radioattività.

 

Figura 9      Figura 10      Figura 11

          Figura 9                            Figura 10                                             Figura 11

 

Così de Hevesy [op.cit.] descrive i suoi primi studi: “…concentrò il suo interesse sui minerali contenenti uranio. La pechblenda, uno dei primi minerali studiati, contiene circa il 60% di tale elemento e, come già osservato da Becquerel che l’intensità di radiazione è proporzionale al contenuto di uranio, lei si aspettava che 1 grammo di pechblenda agisse sui suoi strumenti con la stessa intensità di 0.6 grammi di uranio. Invece, fu molto impressionata dall’osservare che l’intensità di radiazione emessa da 1 grammo di pechblenda era parecchie volte superiore a quella di 1 grammo di uranio”.

 

Nella sua tesi di laurea in fisica compare per la prima volta il termine radioattività, così descritta: “L’attività radiante è una proprietà atomica, indipendente dallo stato fisico o chimico dell’elemento radioattivo”.

 

Il lavoro dei coniugi Curie porta, agli inizi del 1898, alla scoperta del Torio; il 18 Luglio viene scoperto il Polonio, circa un milione di volte più radioattivo, ed il 26 Dicembre viene isolato fisicamente dall’uranio il Radio, due volte e mezzo più radioattivo del Polonio.

Tutte queste scoperte valgono a Becquerel ed ai Curie il Premio Nobel per la Fisica del 1903.

La vera consacrazione di Marie Curie sarà tuttavia nel 1910 al Congresso Internazionale di Radiologia, una delle prime Conferenze Solvay. Le Conferenze Solvay (Figura 11) erano organizzate da Ernst Solvay, un industriale belga che aveva fatto la sua fortuna con il metodo di produzione del bicarbonato di sodio. In questo Congresso, tenutosi nei saloni dell’Hotel Metropole di Bruxelles, l’unità di base della radioattività, corrispondente all’attività di 1 grammo di radio, viene denominata Curie. L’anno seguente Marie Curie riceve il Premio Nobel per la Chimica, per aver isolato chimicamente il Radio.

Madame Curie ha certamente avuto meriti enormi nelle vicende scientifiche del primo quarto del secolo scorso. Tuttavia non deve meravigliare se, nella riformulazione delle unità di misura della radioattività, una ventina di anni or sono, si sia adottato il Becquerel, che ha ristabilito la verità sulla scoperta della radioattività.

 

 

Effetti biologici del Radio: i primi studi

 

Parallelamente alle scoperte della fisica, si effettuano i primi esperimenti medici e si ottengono le prime conoscenze di radiobiologia. Già nel 1900, due medici tedeschi, Giesel e Wakhoff scoprono che i raggi emessi dal radio hanno un’azione distruttiva sull’epidermide.

 

La lettura dei loro lavori indusse Pierre Curie a posizionare un campione di radio per 10 ore sul suo braccio per studiare gli effetti sulla pelle. Egli fu entusiasmato (sic!) dalla comparsa di un eritema che copriva la superficie cutanea per circa 6 centimetri quadrati; successivamente si formò una piaga che scomparve dopo 4 mesi, lasciando comunque un segno sulla cute.

Henri Becquerell reagì in modo molto differente. Egli andò a Londra per tenere una conferenza alla Royal Society. Di ritorno, si infilò nel taschino della giacca il campione contenente il radio e, al suo arrivo a Parigi, scoprì una ferita sul torace. Si arrabbiò molto e rimproverò i Curie di aver scoperto una sostanza che emetteva radiazioni con questi spiacevoli effetti” [de Hevesy, op.cit.].

 

Nel 1901 il famoso dermatologo francese Henri Alexandre Danlos, che ha legato il suo nome alla Sindrome di Ehlers-Danlos [malattia dei tessuti connettivi, n.d.r.], cerca di curare una lesione cutanea tubercolare ponendo il radio a contatto con essa. Nel 1903 Frederick Proescher pubblica il primo studio sull’iniezione endovenosa di radio per la terapia di differenti malattie. Nel 1914, Harvey A. Seil pubblica i primi risultati sull’escrezione di radon e di radio dopo iniezione endovenosa di radio.

 

 

Le nuove scoperte della fisica

 

Intanto anche le conoscenze nel campo della fisica delle radiazioni procedono. Nel 1911 Ernest Rutherford (Figura 12) e James Chadwick dimostrano che le radiazioni emesse sono di tre tipi:

 

- nuclei di elio: radiazioni alfa (a)

- elettroni: radiazioni beta (b)

- fotoni altamente energetici: radiazioni gamma (g)

 

Figura 12      Figura 13

                   Figura 12                                    Figura 13

 

Nel 1913 Frederick Soddy (Figura 13) conia il termine “radioisotopi” per quegli elementi che “…occupano lo stesso posto nella tavola periodica e sono chimicamente indistinguibili. Questa identità materiale si estende oltre le proprietà chimiche in senso stretto ed abbraccia probabilmente quasi tutte le più comuni proprietà fisiche, così che i mezzi sperimentali capaci di distinguere e separare gli isotopi sono molto limitati” [Frederick Soddy, Chemical Society Annual Reports 10, 262-88, 1913].

Alla luce delle conoscenze acquisite, oggi sappiamo che in un nucleo vi sono Z protoni ed N neutroni e che Z identifica il numero atomico mentre il numero di massa A è dato dalla somma di N+Z, cioè del numero di protoni e neutroni presenti nel nucleo di quell’elemento. Pertanto, un nuclide di un elemento è individuato dai valori di A e di Z ed il suo simbolo è:

 

(1)

 

Nuclidi con lo stesso numero atomico (Z) e diverso numero di massa (A) sono detti ISOTOPI:

 

(2)

       

 

Fino al 1919 i soli fenomeni nucleari conosciuti erano quelli legati alla radioattività naturale prodotta dagli ultimi 12 elementi del sistema periodico, con Z da 81 a 92. Oggi si conoscono più di 1400 nuclidi.

 

 

diffusione incontrollata dei prodotti radioattivi ed i suoi danni

 

Parallelamente a quanto avvenuto per i raggi X, anche per il radio si andò diffondendo, soprattutto negli anni Venti, la falsa convinzione, propugnata peraltro da certa stampa e da avventurieri senza scrupoli, di effetti benefici legati al contatto o alla vera e propria assunzione di composti contenenti radio. Furono quindi commercializzati svariati prodotti, dai sali da bagno, alle creme di bellezza, alle sigarette, alle supposte o sciroppi contenenti radio, con i nomi più incredibili, Vitalizer, Revigator, Cosmos bag, Tho-Radia (Figura 14). Anche questa fu una sorta di terapia radiometabolica ante-litteram, ma aberrante. Due di questi prodotti ebbero una particolare diffusione: il Radioendocrinator (Figura 15) ed il Radithor (Figura 16). Non a caso, l’inventore di entrambi questi prodotti era un avventuriero di nome William J.A. Bailey

 

Figura 14    Figura 15    Figura 16    Figura 17   Figura 18

        Figura 14                             Figura 15                          Figura 16                  Figura 17                Figura 18

 

Il Radioendocrinator ebbe il suo successo grazie alla scoperta, in quegli stessi anni, dell’importanza delle ghiandole endocrine nell’economia del corpo umano. Questo apparecchio, del costo di 150 dollari, consisteva in una piastrina metallica contenente radio, prometteva miracoli se applicato sul collo in corrispondenza della tiroide o sotto lo scroto, mediante uno speciale applicatore. Conseguenze ben più drammatiche causò il Radithor. Per la sua produzione, Bailey fondò una società, la Bailey Radium Laboratories di East Orange, New Jersey.

L’ascesa del Radithor iniziò quando un noto miliardario americano, Eben Byers (Figura 17), per curare i postumi di una frattura, cominciò a farne grande uso. Conseguenza di questo uso smodato fu una grave malattia che gli causò un progressivo disfacimento delle ossa e lo portò alla morte. Solo dopo questo evento, il Radithor ed i suoi similari furono ritirati dal commercio. Si stima che furono vendute circa 500.000 confezioni di Radithor, delle quali circa tremila furono consumate dallo stesso Byers. Anni dopo le sue ossa furono riesumate e risultavano ancora radioattive.

Anche in Italia negli stessi anni si diffusero prodotti farmaceutici radioattivi dalle virtù taumaturgiche come l’Argo (Figura 18), che, a tutti gli effetti, possiamo considerare la risposta italiana al Radithor.

 

 

nascita della Medicina Nucleare

 

La scienza, quella vera, però procedeva e compiva passi importanti. Le scoperte di Georg de Hevesy (Figura 19) hanno influenzato significativamente il cammino del 20° secolo.

 

Figura 19

           Figura 19

 

De Hevesy era un fisico ungherese, di nobile famiglia, che andò a lavorare con Rutherford all’Università di Manchester. All’epoca Rutherford stava studiando le proprietà radioattive di quello che allora era conosciuto come il Radium-D (oggi sarebbe il Piombo 210).

Per complicare la sua vita ed i suoi studi, il piombo presente nel Radium-D interferiva con le sue analisi. Non essendo ancora a conoscenza che il Radium-D era un isotopo del piombo, Rutherford pensava di poterlo isolare chimicamente e, dunque, affidò questo compito a de Hevesy dicendogli: "My boy, if you are worth your salt, you try to separate radium-D from all that lead". [Figures in Radiation History. Georg de Hevesy. http://www.orcbs.msu.edu/radiation/radhistory/georgedehevesy.html]

Ironicamente, fu questa sua impossibilità a condurre a termine il compito affidatogli che permise una tra le più grandi scoperte nel campo dei traccianti radioattivi, per la quale oggi Georg de Hevesy è considerato il Padre della Medicina Nucleare.

Infatti egli pensò di utilizzare i radioisotopi per studiare il comportamento biologico dei rispettivi isotopi stabili. Eseguì dunque studi sulle piante e sugli animali ed infine impiegò l’acqua contenente deuterio (un isotopo dell’idrogeno) per studiare il turnover dell’acqua nel corpo umano. Nel 1935, insieme ad O. Chieivitz somministrò il fosfato marcato con fosforo-32 ai ratti e dimostrò il rinnovamento dei componenti minerali dell’osso; in questo modo gettò le basi per quella che sarebbe diventata la terapia radiometabolica delle metastasi ossee, molto utilizzata oggi. Per questi studi, nel 1943 gli fu assegnato il Premio Nobel per la chimica.

Qualche anno dopo, nel 1939, scoprì che i globuli rossi potevano essere marcati in vitro con 32-Fosforo e reiniettati per misurare il volume ematico, utilizzando quello che lui chiamò, e che ancor oggi si chiama, il “principio di diluizione”.

 

 

Gli anni Trenta il Ciclotrone ed i nuovi radioisotopi

 

Negli anni 20, l’unico metodo disponibile per lo studio del nucleo era quello sviluppato da Rutherford, che consisteva nel bombardare i nuclei con particelle alfa. Ma le forze repulsive tra i nuclei e le particelle alfa, e le basse energie di queste ultime, non consentivano buoni risultati soprattutto con elementi ad alto numero atomico.

 

Figura 20   Figura 21   Figura 22   Figura 23

     Figura 20                          Figura 21                                      Figura 22                                         Figura 23

 

Nel 1929 Ernest Orlando Lawrence (Figura 20), all’Università di Berkeley, iniziò a sviluppare l’idea del ciclotrone osservando che ioni potassio che attraversavano due tubi metallici sottoposti a voltaggio oscillante erano accelerati ed emergevano con un’energia doppia rispetto a quella di ingresso. Lawrence costruì due camere a forma di D (da cui il nome di “dees”), e le pose tra i poli di un magnete. Dentro i “dees” gli ioni erano accelerati su un percorso spirale e quindi estratti con una energia molto elevata (Figura 21). Tra il 1931 ed il 1940 Lawrence costruì ciclotroni via via più grandi. Basti pensare che il primo ciclotrone da 80.000 eV alloggiava nel palmo di una mano (Figura 22), mentre l’ultimo, da 100 milioni di eV, poteva ospitare dentro il magnete decine di persone (Figura 23).

Lawrence impiegò questi ciclotroni per studiare i processi nucleari e per produrre una varietà di nuovi isotopi alcuni di loro molto importanti per la medicina, tanto che nel 1935 egli stesso ebbe a dire: Shall we call it nuclear physics or shall we call it nuclear chemistry?”. Per questo lavoro, Lawrence ricevette nel 1939 il Premio Nobel per la Fisica.

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